Una Finestra sul Lago – Cuori e scope

A Milano si dice: “La prima l’è la scua, la secunda l’è la sua”.
Frase lapidaria, proprio una pietra tombale che stigmatizza e conclude in una battuta tutto quel sentimentalismo che prende i vedovi più che maturi quando spiccano “voli nuziali” verso legami caratterizzati da lodi sperticate sulla nuova compagna unite a smancerie amorose ed elargizioni economiche di cui la prima moglie non ha mai avuto beneficio.
Piccioncini anziani e ridicoli ostentano gesti ignorati in vite affettive precedenti e danno ampia dimostrazione di queste emotività recuperate anche in trasmissioni televisive pomeridiane.
Personaggi sulla cui pace dei sensi si fino a qualche anno fa si poteva giurare, mostrano di ambire a focosità adolescenziali forse sostenuti dall’avanzare a passi da gigante della chimica e della farmaceutica dei tempi nostri.
Sane sit, se la faccenda riguarda personaggi collocati dall’immaginario collettivo nel mondo dello spettacolo, dell’arte e della letteratura che godono da sempre di un’allure particolare e di un’inequivocabile distanza dalla vita quotidiana della gente comune.
Quando, però, lo spirito di imitazione contagia il vicino di casa, quando un nonnetto in pensione, ormai votato a un menù di semolino, carne trita e mela cotta, scopre dentro di sé il richiamo della foresta e, come Tarzan, si batte il petto alla ricerca di una nuova Jane per una nuova vita tutto istinto, emozione e libertà, allora sì che lo straordinario bussa alla porta di casa e o son dolori o son risate.
Il Maresciallo Cocuzza, dopo una vita di rigore e di fedeltà alla moglie e alla Bandiera, aveva scoperto i guai della terza età passando attraverso i fastidi della prostata mal funzionante, i dolori reumatici e la necessità di interventi odontoiatrici che potessero restituirgli un sorriso e soprattutto una masticazione da pubblicità televisiva.
Non era mai stato un uomo indulgente ad alcuna leziosità e da buon militare in carriera aveva imparato a guardare al sodo e all’efficienza.
Tant’è che quando, sull’orlo dei settant’anni, durante una cena domestica aveva malauguratamente inghiottito un boccone di risotto, mezzo incisivo e il sassolino che aveva causato il danno, senza scomporsi si era ritirato nella stanza che era stata un tempo la camera da letto di uno dei suoi figli ed era diventata il rifugio del pensionato con tanto di plastico del trenino elettrico, poltrona reclinabile per il riposino pomeridiano e libreria con collezione di tutti i gialli Mondadori che aveva letto nel corso degli anni. Senza indugio, manipolando componenti rimasti segreti, si era costruito un bel dentino finto che posizionava alla bisogna con sistema di leva e metti onde evitare di inghiottirlo durante i pasti.
Non aveva velleità estetiche, accettava rassegnato il passare del tempo, fiero del suo ruolo di nonno e di marito di una signora in età, fine nei modi e leggermente fané come chi, affetto da seria sordità, sembra sempre un po’ lontano dalla realtà e perso in un mondo di sogni.
La signora Cocuzza, una persona gradevole e molto gentile, che vantava natali di nobiltà Borbonica e che raccontava sempre con garbo le gesta militari e non del marito, col passare degli anni perse il suo smalto, affetta da una rara malattia che in breve tempo la spense lasciando familiari e amici nel più profondo sconforto.
I giorni che seguirono crearono subito una frattura irreparabile tra il Maresciallo e i suoi figli che si trovarono in disaccordo con l’idea del padre di conservare le ceneri della madre in un’urna di marmo sul cassettone in camera da letto.
Mentre egli protestava il suo amore e la sua solitudine che la vista dell’urna avrebbe compensato, essi giudicavano la scelta macabra oltre che insolita e illegale.
Orbato nell’affetto, scombussolato nella sua vita abitudinaria, il Maresciallo passò l’estate pescando di giorno, passeggiando in assoluta solitudine sul lungolago di sera e guardando con tristezza e un po’ di invidia le coppie anziane che incrociava e a cui era concessa una vita a due che ormai a lui era negata.
Confidava il suo rammarico al solo vero amico che aveva, l’anziano Mario che con lui guardava i cigni e le anatre galleggiare sul lago oppure le onde provocate dal traghetto che ad ore fisse s’infrangevano rumorose sulla riva.
E Mario non sapeva come consolarlo, perché non conosceva quel dolore e quella solitudine, ma conosceva il Centro Anziani dove ogni giovedì imperversavano valzer, tango, paso doble e chacha.
Il Maresciallo era stato ai suoi tempi un buon ballerino e ballare, si sa, è come andare in bicicletta: non si dimentica mai; per cui, superate le prime reticenze, i primi dubbi e i primi rimorsi, scoprì che ballare gli alleviava la tristezza per qualche ora e questo era piacevole.
Così, lentamente, rinacque alla vita di tutti i giorni.
Passato l’inverno, non mancò, come aveva fatto ogni anno in compagnia della cara moglie defunta, le cure termali della tarda primavera e le ferie estive sulla riviera romagnola, programmate di anno in anno.
Prima della partenza temeva di annoiarsi e di dover passare le vacanze in solitudine, ma poi la vita d’albergo e di spiaggia lo aiutarono a fare nuove amicizie.
Fu così che conobbe Juana, una messicana tutto pepe capitata in Italia non per caso, spinta dalla favola che circola all’estero sugli attempati pensionati italiani, pronti a concedere solidità e benessere in cambio di qualche anno di fuoco e passione.
Ancheggiando al ritmo di salsa colpì al cuore l’anziano Maresciallo che tornò dalle ferie abbronzato, sereno, rilassato e pronto ad affrontare i figli per spiegare loro che l’anziana Margherita che serviva in casa da trent’anni, non gli era più necessaria e che si sarebbe fermato in città solo per qualche tempo, giusto il necessario per organizzare il suo trasferimento, visto che aveva deciso di avviare un’attività commerciale Italia-Messico, un import-export di prodotti italiani, suggeritogli da una giovane amica che lo avrebbe coadiuvato nell’impresa.
Nel frattempo affidava al loro affetto e alla loro devozione le ceneri della loro madre, sicuro di consegnarle in buone mani.
Tuoni, fulmini e saette.
I figli del Maresciallo, ormai sulla cinquantina e che solo un anno prima già vedevano il loro padre sul viale del tramonto, si ritrovarono a discutere con un giovanile settantenne che non aveva alcuna intenzione di ritirarsi in un pensionato, morire presto e lasciare l’eredità.
Sì, erano stati presi di sorpresa.
E ci provarono in tutti i modi.
Strepiti della figlia, minacce del figlio, lamenti e ricatti affettivi dei nipoti nulla poterono contro il turbine di vita che aveva rapito il Maresciallo.
L’anziano Mario sulla sua annosa Tempra accompagnò in Malpensa la bella coppia che partiva alla volta di Città del Messico per organizzare l’attività futura.
Non si ebbero notizie per mesi.
Nessuno nel gruppo dei conoscenti parlò più del Maresciallo fino alla sua ricomparsa sul suolo nazionale.
Mario, l’amico fedele, si ripresentò in Malpensa e ricevere il viaggiatore.
L’uomo che varcò il cancello degli arrivi internazionali era irriconoscibile: un bell’uomo evidentemente liftato, asciutto e muscoloso avanzava abbracciato a una bella donna incinta.
Era sicuro di sé e fiero di quella giovane vita in arrivo.
Mario sembrava suo padre, perché tutti gli anni che aveva, gli stessi dell’altro uomo, mancanti di progetti e di attese, gli pesavano come macigni sulle spalle ricurve.
Si abbracciarono cordialmente e il sorriso del Maresciallo fu smagliante e aperto.
Anche il dentista messicano aveva fatto la sua parte.
Il tempo era passato inesorabilmente per uno dei due uomini e corso all’indietro per l’altro.
Una donna, incontrata per caso sul viale del tramonto, a quest’ultimo aveva restituito la vita.

 

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