Racconti – Lui, lei e i ciclamini

Lui era morto.
Lunga e penosa malattia.
Qualche tempo prima era stato male all’improvviso e subito si era capito che …
Era così iniziato il solito dentro e fuori dagli ospedali cui era seguita la rassegnazione e perfino l’assuefazione che subentra a tutto, anche alle malattie più gravi, quelle che non danno speranza. Piccole pause di tranquillità in cui il male sembrava sconfitto, si erano alternate ai momenti in cui la paura e la preoccupazione dominavano i giorni e soprattutto le notti.
L’attesa della fine, silenziosa, aveva caratterizzato gli ultimi giorni.
E poi lui era morto.
Lei che era stata una moglie in ombra, sempre messa da parte dalla figura e dal carattere dominante di lui che era stato un uomo estroverso, simpatico, di bell’aspetto e di bei modi, gioviale, buontempone, amico di tutti e abile intrattenitore di amici e conoscenti, aveva seguito e condiviso passo passo tutto quel calvario.
Compunta, attenta e discreta lo aveva accompagnato di qua e di là.
Gli aveva tenuto la mano nelle passeggiate dei tempi di tregua e nel dolore dei momenti di angoscia.
Gli era stata vicino, non lo aveva mai abbandonato.
Lo guardava a vista, perchè non voleva perdersi nulla di lui, di quella parte di vita che nei loro desideri avrebbe dovuto essere solo per loro, cresciuti ormai i figli e risolti tutti i problemi che gli anni della gioventù e della maturità avevano offerto loro come un vassoio di dolcetti amarognoli, bruciacchiati e mal cotti a cui per educazione non si puó tuttavia dire di no.
Aveva tirato fuori una bella grinta che nessuno avrebbe mai immaginato in quel donnino minuto, meravigliando perfino i suoi figli, due ragazzoni grandi e grossi, simili al padre che avevano scoperto tutt’a un tratto la determinazione della loro madre sempre sottovalutata.
Era andata così che, morto lui, amici, conoscenti e vicini di casa si aspettavano il funerale.
La notizia del decesso era subito trapelata, in quel sussurro chiacchierone che dice e non dice, ma di fatto racconta, e aspettavano la comunicazione del giorno e dell’ora, pronti ad accodarsi al corteo che avrebbe accompagnato la salma in chiesa e poi al cimitero.
Ma lei non voleva.
Inaspettatamente aveva tirato fuori la faccenda che aveva deciso di realizzare l’ultimo desiderio del marito morto.
Glielo aveva promesso, diceva.
Nello stupore di figli e parenti aveva preso il coraggio a due mani e aveva tirato fuori al cassetto della scrivania dello studio quella lettera che lui aveva scritto di suo pugno.
In buona sostanza, quando al giro di boa finale i più cambiano idea e scendono a miti consigli col Padreterno, lui aveva ritirato fuori vecchie idee giovanili vissute interiormente forse, ma mai sbandierate nella convenienza del vivere quotidiano.
Non voleva un funerale classico, voleva essere cremato e basta.
Che la moglie decidesse cosa farsene delle ceneri.
Che se le tenesse sul comodino, sulla mensola del caminetto o le disperdesse in mare non gli importava.
Aveva scritto chiaro che assolutamente non voleva la cerimonia in cui i più chiacchieravano distratti e felici di ritrovarsi per l’occasione e aveva ben precisato che non intendeva finire nello scomparto a lui destinato nella tomba di famiglia.
Polvere era stato? Bene, polvere voleva tornare a essere con buona pace delle convenienze dei più.
Dopo lunghe discussioni, a momenti anche concitate, lei si era imposta.
Dalla cappella mortuaria dell’ospedale in cui lui era morto, la salma era stata trasferita al forno crematorio.
Un perfetto fatto privato.
Parenti, amici e conoscenti ne erano stati esclusi.
Qualche volonteroso aveva raccolto l’offerta per una delle solite buone azioni del terzo, quarto e quinto mondo.
Chi si era proposto per una visita di cortesia era stato scoraggiato dalla voce ferma di lei che senza mezzi termini aveva comunicato attraverso la segreteria telefonica che non si sentiva di ricevere nessuno.
Tutto, quindi, era filato senza intoppi con i soli figli come testimoni.
Ma alla fine c’erano quelle ceneri e i figli volevano sapere cosa intendesse farne.
Sul comodino come aveva deciso la vedova Bianchi per avere il marito vicino a sè anche da morto, proprio no.
Sulla mensola del caminetto nemmeno.
La sbadataggine del domestico filippino che una volta alla settimana si presentava per le pulizie di casa, avrebbe potuto essere causa della rottura dell’urna votiva con conseguente spargimento di cenere a destra e a manca.
In mare nemmeno, lui odiava il mare e le loro vacanze avevano sempre come meta luoghi di montagna o città d’arte.
Aveva letto da qualche parte che in America usavano elaborare brillanti per anelli da portare al dito come diamanti di fidanzamento, ma questo le era sembrato subito osceno, quasi un occhieggiare continuo dal dito anulare della mano sinistra di un qualcuno che non c’è più.
Dove sistemare, quindi quelle ceneri che una volta erano state uomo ed ora erano l’ingombrante testimonianza di una vita passata?
Alla fine lei si decise.
Svuotò le balconette appese alle finestre della casa di campagna dove avevano trascorso estati felici, dove il tempo delle vacanze era il giusto intermezzo alla vita di città e dove si ritrovavano tutti insieme come famiglia nei momenti importanti, liberi dagli affanni della vita quotidiana; mescoló terra nuova e cenere e piantò ciclamini di un bel rosso intenso, rosso come l’amore che li aveva legati per tutta la loro vita matrimoniale; innaffió tutto con cura e sistemò nuovamente i vasi sui davanzali.
Rifioriscono sempre quei ciclamini, testimoni di un amore vissuto e custodito, insolita testimonianze di una vita che fu.

 

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