Racconti – Lacrime di coccodrillo

L’automobile, una minuscola citycar, era ferma in quella vietta centralissima, davanti alla biblioteca civica, fuori dagli spazi, quasi in prossimità dell’incrocio con l’altra via a senso unico su cui transitava l’autobus che fungeva da circolare e trasportava i passeggeri che dalla stazione si riversavano in ogni parte del centro cittadino per i più diversi motivi. Il parcheggio scorretto non era di intralcio a nessuno, in considerazione del traffico modesto di quell’ora e delle dimensioni del veicolo, ma la donna a bordo e al posto di guida era pronta a spostarlo immediatamente per far fronte a ogni eventuale possibilità.

Era un giorno caldo di settembre, erano le dieci del mattino e aspettava.

Ingannava l’attesa sfogliando distrattamente il settimanale di cui guardava le immagini e leggeva distrattamente i trafiletti.

Aveva accompagnato il marito ad un appuntamento imprevisto e, ben sapendo quanto fosse infastidito dal cercare parcheggio in quella zona, si era offerta di aspettarlo sotto l’ufficio in cui doveva recarsi, ben sapendo che tutti si sarebbe risolto in breve tempo; solo una consegna di documenti e niente di più.

Aspettava e alzava spesso lo sguardo dal giornale per controllare i movimenti di auto intorno a lei e di passanti, sperando di vederlo tornare, presto come aveva promesso.

Il caldo della città la infastidiva, il motore spento dell’auto non le permetteva di godere del beneficio dell’aria condizionata, aveva perciò calato il finestrino e si faceva vento col suo ventaglio bianco a fiori che aveva acquistato durante una recente vacanza veneziana.

L’amore della giovane attrice italiana con l’affascinante attore americano era giunto alla fine; amiche, confidenti e giornalisti alla moda raccontavano la loro versione dei fatti dalle pagine del settimanale e facevano scommesse su come sarebbe finita la vicenda tra i due protagonisti del gossip, se con l’addio definitivo o con una bella riconciliazione che avrebbe soddisfatto le aspettative dei più che, intervistati, davano pronostici e sparavano addirittura le date del possibile matrimonio.

Tra la lettura dell’amore di costoro e quella dell’ennesimo rapporto sui lifting dell’attrice anziana che, lasciato il marito, si consolava con un giovane spasimante brasiliano, la donna nell’automobile alzò lo sguardo e lo vide.

Era un uomo di colore, dimesso nell’aspetto, che indossava una tuta di lavoro blu, una di quelle da operaio metalmeccanico formata da salopette e maglietta a mezze maniche; sembrava appena uscito da un’officina, cosa improbabile vista la zona della città.

Era di certo sceso dall’autobus che era appena passato.

L’uomo avanzava verso di lei e, lanciato rapidamente uno sguardo attorno a sé, la donna nell’auto si rese conto che intorno non c’era nessuno.

L’uomo si avvicinò alla macchina e le chiese, dapprima in francese, indicazioni per una via.

Non sapeva.

Poi l’uomo ripeté la domanda in italiano.

Ma lei aveva già compreso, semplicemente non era in grado di fornire l’informazione.

L’uomo ringraziò e fece per allontanarsi, poi ritornò sui suoi passi.

Disse di non essere del luogo, era arrivato da altrove e non sapeva quasi spiegare perché fosse lì.

Aveva perso il lavoro e aveva a casa quattro figli piccoli.

Si mise a piangere.

La donna all’interno della macchina era a disagio, non aveva denaro con sé, perché si era resa conto all’improvviso di avere cambiato la borsa e di aver lasciato il portafogli in un’altra .

Non poteva fare altro, commossa, che aiutare quel povero disgraziato raccogliendo le poche monete custodite nel cassettino portaoggetti dell’auto. Solo qualche euro, niente di più.

L’uomo accettò la piccola offerta, sembrava più tranquillo, si asciugò rapidamente le lacrime e le sorrise.

Aveva cambiato espressione.

“Aspetti qualcuno?” le chiese.

La donna cominciò a preoccuparsi.

“Sì, certo, mio marito”

“Ah… tu sposata? Tu bella donna!”

Il sorriso sornione dell’uomo, la considerazione fuori luogo, le lacrime e il dolore precedente ormai dimenticati rendevano per lei la situazione fastidiosa.

Si attaccò alla prima idea che le venne in mente.

“Sono una donna anziana”.

Con quella frase intendeva dire tutto: lasciami in pace, vattene via, mi stai infastidendo, come ti permetti?, cosa vuoi da me?, non sono tuo territorio di caccia, vuoi fare il predatore con me?

“Ma tu molto bella”

Eccolo l’eterno confronto: io al di qua della barricata e tu al di là.

Io donna e tu uomo, io preda e tu cacciatore.

“Io sono anziana: ho sessantacinque anni!”

Forse era stato il tono deciso, forse lo sguardo indignato, forse l’età dichiarata.

Forse l’auto della polizia che aveva appena svoltato l’angolo e si avvicinava .

L’uomo l’aveva certamente vista.

Si ricompose rapidamente.

Tornò al suo fare dimesso, alla schiena un po’ curva, allo sguardo lacrimoso.

“Grazie, Mama”

E si allontanò velocemente dalla macchina e da lei.

“Stronzo” pensò la donna, “Ecco un altro, un volgare coccodrillo maschio all’assalto”.

 

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