Racconti – Austerità

Da qualche tempo siamo tutti un po’ più infelici: abbiamo scoperto che la pacchia del benessere per tutti è una bugia degna dell’Isola che non c’è.

I grandi sogni degli anni Settanta e Ottanta sono finiti e, giustamente, nell’’89 Raf cantava: “Cosa resterà / di questi Anni Ottanta?”.

Non è rimasto niente o, almeno, molto poco.

Anzi, a dirla tutta, sono convinta che l’unica cosa positiva di quegli anni stia nel fatto che sebbene la Nazione abbia al suo attivo minori speranze, in compenso ha un popolo che sa di più, che è più scolarizzato, più globalizzato e più capace di guardare alla realtà in modo critico e disincantato.

Abbiamo vissuto anni in cui abbiamo creduto che tutto sarebbe stato vicino e possibile: la Luna, la Pace, la Fratellanza, la Libertà e il Benessere, dio nuovo e assoluto, quest’ultimo, che ci avrebbe permesso di tutto. Ricordo di quando sembrava che il problema da risolvere sarebbe presto stato il tempo libero degli esseri umani nella prospettiva di settimane lavorative di molto al di sotto delle 35 ore… Qualche sociologo che oggi definiremmo burlone, teorizzava su luoghi di divertimento e intrattenimento per le masse annoiate, ricche e libere dalla schiavitù del lavoro…

Poi ci sono state le Torri Gemelle… la Cina… la crisi finanziaria strisciante, profonda, mondiale e il conseguente crollo di miti e prospettive, cosicché ci ritroviamo a vivere una nuova Austerità e riparliamo di risparmio, di necessità, di nuova povertà, di insicurezza.

Non siamo alla vera indigenza, ma la percezione collettiva è di profondo cambiamento e di incertezza per il futuro e per le prospettive che si offrono alle nostre giovani generazioni.

Anche il vaso di Pandora delle virtù civili si è aperto e abbiamo verificato con i nostri occhi che la politica è “la più sporcissima di tutte le cose”, rendendoci conto che il Machiavelli non parlava per caso e che la frase non era una delle tante banalità mandate a memoria per compiacere insegnanti barbosi e pignoli.

Abbiamo imparato sul campo la differenza tra la predica e il modo di razzolare, abbiamo maturato una sfiducia nelle istituzioni rappresentate da individui che difendono i diritti acquisiti con unghie e denti acuminati. Adesso noi li chiamiamo “la casta” e quelli, che di casto non hanno niente, imperterriti avanzano sul viale della convinzione che tanto ce ne dimenticheremo, perché la folla ha memoria corta ed è incapace, anzi, non ha gli strumenti per annullare una macchina di privilegi così ben consolidata e articolata.

Può essere.

Nel frattempo, tra i malumori ormai espressi apertamente e ovunque dalle persone comuni e perfino da coloro che appartengono alla classe che una volta era borghese e ormai non è quasi più nulla, tutti ci andiamo adattando al nuovo senso di “mancanza”: di sostanze, di lavoro, di futuro.

Un ministro femmina piange.

Qualche stupido vuol far passare la cosa come lamento sulla gravità del fatto che anche i più poveri saranno più tassati, ma in breve tutti capiamo che i poveri sono tanti, i ricchi meno… Meglio tassare i poveri e costringerli al piccolo contributo che tassare i ricchi che sostengono la partita.

Un pianto da panico da prestazione, quindi. Molti studenti, interrogati, quando meno sanno, piangono per commuovere l’insegnante e per capirlo basta avere un po’ di esperienza scolastica.

Ebbene, mala tempora currunt… sempre… e ogni epoca ha i suoi motivi per dirlo.

La benzina, ai giorni nostri metro primo di valutazione del nostro benessere, è alle stelle, gravata dai più diversi e assurdi balzelli, perciò la gente ha riscoperto i mezzi pubblici.

Mentre il ministro piange, fioccano i più diversi suggerimenti su come insegnare alla Nazione il risparmio spicciolo.

In televisione, Bibbia del sapere collettivo, impazzano i programmi di alimentazione risparmiosa, si recuperano ricette della tradizionale cucina povera a base di fagioli, pasta e pane raffermo. L’orticello sul balcone è un must. Non ho, però, ancora visto rubriche di taglio e cucito casalingo, perché la concorrenza dei magliari cinesi è pur sempre imbattibile.

Si buttano, invece, i consigli spiccioli su come risparmiare la benzina: camminare è sano, migliora il tono muscolare, abbatte il colesterolo e rallenta l’osteoporosi; andare in bicicletta dà un nuovo sapore alla vita, perché assicura all’occhio il tempo per fotografare il paesaggio; guidare diminuendo la velocità aumenta la sicurezza sulle strade e consente di spendere meno.

Le autostrade, in effetti, sono meno affollate, tranne che in quei punti nevralgici di confluenze obbligate, e il traffico è più scorrevole, meno drammatico.

La viabilità locale, invece, è più lenta.

Chi è obbligato a servirsi dell’auto fa tesoro dei consigli degli esperti e nel Paese della Ferrari, tutti sono meno Nuvolari e meno amanti dello scatto al semaforo.

Così, sarà perché i soldi sono pochi o perché la popolazione invecchia, sono diventati spettacoli inusuali le frenate, i sorpassi, le accelerate nervose, le guide sportive.

Il confronto non è più su “quanto tempo ci metti?”, ma su “quanto consumi?”.

Le strade provinciali e comunali vedono colonne ordinate di autisti che non superano 50 o 70 km orari, tutti in fila paziente e nel rispetto dei limiti.

Io ho un’amica eccezionale. Da guidatrice esperta e un tempo coraggiosa, ora si è perfettamente assuefatta al nuovo dictat: andare piano per consumare meno.

Quando usciamo insieme, vuole guidare sempre lei, le piace farlo.

Io l’assecondo volentieri, perché mi infastidisce aprire il portone del box e aprire il cancello, richiudere il box e richiudere il cancello, su e giù dalla macchina quattro volte e dover ripetere la cosa al ritorno. Trovo, quindi, estremamente comodo il fatto che mi venga a prendere e mi riporti a casa.

Ma c’è un ma: la mia amica guida piano, veramente piano.

Sulle strade qui intorno è di rigore il 50 all’ora con tanto di autovelox assassini che non ammettono sgarri e così tutti vanno a 50 all’ora. Lei no. Secondo lei, se il 50 chilometri orari è il massimo, nella logica del risparmio energetico è possibile anche tenersi ad una velocità inferiore.

Di norma la sua velocità di crociera è 40 chilometri orari, con punte di 35 quando chiacchieriamo animatamente tra noi.

E’ la morte civile per chi è dietro… un po’ come in Florida con quegli anziani alla guida di macchinoni che vanno come le macchinette a pedali per i bambini dei giardini pubblici.

Quando mi accorgo che la nostra velocità rischia di scendere sotto i 35 all’ora, io la incito ad andare più forte e lei mi risponde seraficamente che non abbiamo fretta, che nessuno ci corre dietro.

E’ vero, alla nostra età nessuno più ci “corre dietro”, ci “seguono” tutti fremendo, come fremo io quando mi ritrovo in una situazione simile.

Ieri l’altro, però, abbiamo vissuto un’esperienza singolare: passato il ponte di ferro ci siamo assestate sulla nostra “velocità” e abbiamo cominciato a considerare quale fosse la sala da tè dove andare per il nostro tè delle cinque. Mi sono distratta e non ho allungato l’occhio al tachimetro. Non andavamo forte, anzi, ho fatto caso che nel giardino della terza villa prima del semaforo il cespuglio di rose era in splendida fioritura…

Al semaforo avevamo quasi deciso per la pasticceria che prepara le paste alla Bella Elena in modo sublime.

E’ stato allora che il tizio infuriato della macchina dietro ci ha affiancate. A vetro calato urlava come un pazzo: “Cretine! Babbione! Che ci fate in giro? A 20 all’ora!! Se dovete andare a passo d’uomo, statevene a casa! Andate a piedi! Non vedete che c’è il sole? Fatevi una passeggiata a piedi, cosa vi mettete in macchina a fare?”.

Chiacchierando, mi ero dimenticata di incitare la mia amica a una guida più coraggiosa e uno sguardo indietro mi faceva subito render conto che avevamo creato una coda infinita di veicoli. I led luminosi sul cartello di segnalazione dell’autovelox rimandavano la nostra velocità, 20 chilometri orari…

Mi sarei nascosta sotto il sedile.

Oltretutto, il tizio infuriato per questionare con noi aveva azzardato una manovra da bucaniere che lo esponeva a un vero rischio di scontro frontale.

L’unica cosa che è venuta in mente di dire: “Dai, caspita, accelera!” e lei di rimando: “Ma cosa faccio di strano? Sto nei limiti di velocità! Risparmio benzina, guido in modo sicuro e non rischio multe… Cosa vuole quello lì? Mi sa che è il solito pazzo!”.

 

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